// di Francesco Cataldo Verrina //

Domenica 10 luglio, poco dopo le ore 17.00 Dado Moroni è stato premiato dalla Fondazione Perugia, la consociata di Umbria Jazz, come miglior jazzista dell’anno: il trofeo è un piatto in ceramica artistica di Deruta. Dico questo perché l’inizio del concerto al Teatro Morlacchi è quasi surreale: lo speaker annuncia l’esibizione di Dado Moroni Itamela e relativi musicisti, di cui stenta a leggere i nomi senza occhiali, s’impapera, s’inceppa e non capace di spiegare il significa di “Itamela” (che sta per Italia-America-Latina), quindi aggiunge: ma prima dobbiamo premiare l’artista dell’anno…signore e signori, Dado Moroni. Ti saresti aspettato qualcun altro, almeno per linearità di copione. La premiazione, a mio avviso andava fatta alla fine. Mentre ritira il premio, il solito Dado parla e racconta, infarcendo il suoi discorsi di aneddoti italiani ed americani, fin quando si accorge che forse il pubblico pagante vorrebbe sentire qualche strumento suonare, quindi precisa: tranquilli anche se parliamo, non significa che suoneremo di meno. Il concerto durerà comunque poco più di un’ora e venti, questi sono i tempi stabiliti per le esibizioni al Morlacchi.

Il live-set è impostato come un viaggio a tappe che tocca vari angoli d’Italia e del mondo: parte da Genova città di Moroni, passa da Napoli con una suggestiva versione della dalliana “Caruso” che mette in luce tutti i talenti della bella chitarrista napoletana, Eleonora Strino, che sembra aver appreso a mena dito la lezione dei grandi chitarristi jazz, da Grant Green a George Benson, da Wes Montgomery a Jim Hall; il suo fraseggio chitarristico distilla melodie nitide che a tratti mettono in ombra perfino il lavoro di Moroni, diviso tra pianoforte a coda e piano elettrico, volutamente defilato per favorire la sua protetta, che dice di aver conosciuto ed apprezzato durante un seminario tenuto a Napoli. Avere un Pigmalione come Dado può diventare un ascensore per le stelle, ma la Strino è un talento naturale e si muove con mano sicura proponendo una sua composizione, “Presentimento” sulla quale canta con voce struggente e ricca di pathos partenopeo, mentre il pianista gli fornisce un perfetto substrato armonico.

A questo punto il convoglio si sposta in Sicilia, terra d’origine della famiglia del batterista Enzo Zirilli. La scelta cade su una toccante versione jazzly di “Vitti ‘na crozza”. Zirilli prende il microfono ricordando la sua infanzia, le sue origini ed accenna all’inutilità della guerra, ma forse in pochi si accorgono che da quasi mezzora sta suonando con una mano sola, essendosi rotto un gomito cadendo dalla bicicletta. Un fenomeno da certificare presso il Guinness dei Primati. Il batterista esegue il suo compito alla perfezione e lo fa meglio di molti che di mani ne usano due, producendo a volte ridondanze e fragore. Zirilli è calibrato, perfino creativo, anzi sembra che tutti gli schemi ritmici siano saltati e riadattati alla sua nuova condizione, come in quelle squadre di calcio quando si resta in dieci per l’espulsione di calciatore. Il batterista passa dal swing di Cole Porter al rimo bossa di “Desafinado” o al clave cubano di Dizzy Gillespie e Pozo con estrema disinvoltura.

Cuba è un’altra delle mete raggiunte più volte dal convoglio in onore delle bravissima bassista-cantante Yanara Reyes McDonald, la quale domina un grosso contrabbasso senza fatica alcuna e canta con voce potente e soulful una ninna nanna “negra” che risale al periodo dello schiavismo ed una straordinaria canzone argentina dedicata ad una poetessa suicida.

Dopo tanto girovagare, forse è giunto il momento che Dado faccia Moroni. “Oscar’s Run”, canzone dedica al figlio, restituisce alla platea un pianista in tutto il suo splendore. L’up-tempo della composizione gli consente di spaziare e di riversare sul piano, in pochi minuti, una summa della sua esperienza americana o di pianista italiano più apprezzato e conosciuto in America. C’è tanto Oscar, ma non solo il figlio, c’è soprattutto Oscar Peterson: così anche nel finale e sull’immancabile bis. Un pomeriggio al Morlacchi senza sconvolgimenti particolari per la storia di Umbria Jazz, ma Moroni mette in evidenza, sia pure a sprazzi, il suo enorme talento di massimo narratore italiano del pianismo afro-americano, soprattutto di essere un ospitale anfitrione ed un arguto talent-scout.

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