// di Francesco Cataldo Verrina //

Se dovessimo tenere in considerazione la deriva della musica italiana, affogata nella canzonetta sanremese senza struttura, senza accordi e senza anima, bisognerebbe rivedere il concetto stesso di canzone e musica popolare nel nostro paese. Fortunatamente, fuori dai circuiti del volgare usa e getta canoro e del letulento e fangoso airplay radiofonico italico, esistono realtà che riescono a coniugare tradizione e moderna apertura verso le culture altre, soprattutto esprimono la conoscenza di un vera architettura musical-canoro-letteraria basata su un costrutto concettuale coerente, animato da musicisti in carne ed ossa capaci di unire strumenti e voci in un afflato sopraffino: «Due Mondi» degli Indaco, edito da Alfa Music, è un progetto che prende forma «in loco» ma con l’intento di gettare un sguardo lontano verso i quattro punti cardinali della musica. «Due Mondi» nasce come follow-up e naturale linea di continuum di «Mediterraneo Express», precedente album del 2019 che aveva già disseminato il germe stilistico della nuova formazione, da cui si evolve nel segno di una ricerca più espansa ed approfondita. Molto è frutto della lungimiranza, della ricchezza di spunti creativi di Jacopo Barbato, produttore artistico e autore, e dei suoi ricercati arrangiamenti in cui il costrutto sonoro s’insangua nel fluire di una ricercata narrazione fatta di testi che parlano di pace, amore, libertà, natura ed umanità varia.

Quello degli Indaco è un lavoro di confluenza sonora che esiste da trent’anni, e che riunisce artisti provenienti da ogni dove attraverso la congiunzione sincretica di generi, ritmi e suoni differenti. Un melting-pot dinamico che diventa il punto focale di un unico vernacolo in cui stili e linguaggi si traducono in un esperanto globale. Il loro metodo applicativo si sostanzia attraverso un viaggio ideale sulle ali della fantasia tra Napoli, Sud Italia e del mondo, guardando in direzione del Nord Africa, passando per i Balcani, sorvolando il Medio Oriente fino all’India, senza dogane barriere mentali e pedaggi da pagare, se non un tributo ispirativo alla voglia di conoscenza e di scambio osmotico con le culture altre. L’attuale line-up: Jacopo Barbato chitarre e cori; Valeria Villeggia voce e arpa; Mario Pio Mancini bouzouki e mandola; Maurizio Turriziani basso; Maurizio Catania batteria; Fabio Mancano sax, si muove tra terre di confine e luoghi remoti, mantenendo il cordone ombelicale legato alla lunga tradizione della canzone d’autore e popolare italiana, sostenuto da Desiree Infascelli fisarmonica, Renato Vecchio duduk e Arnaldo Vacca percussioni, nonché magnificato dalla presenza di due eccellenti special guest: Enzo Gragnaniello e Graziano Galatone.

L’ensemble, guidato dal fondatore Mario Pio Mancini e dall’arpista Valeria Villeggia, pregiandosi dell’apporto di vecchie e nuovi collaboratori, s’immerge in una sorta di Mediterraneo musicale, fulcro di popoli e culture millenarie, tra melodie ancestrali e progressioni moderne, seguendo le orme dagli atavici canti della Magna Grecia, dell’Africa berbera, di un lontano ed idealizzato Oriente, fra gli echi di una tradizione italica lontana e secolarizzata, i quali si uniscono attraverso viscerali vibrazioni ricche di pathos che fuoriescono dall humus di una terra antica. Uscendo dalla dimensione meramente musicale, «Due Mondi» trasporta il fruitore in universo fatto di sensazioni olistiche in cui si possono cogliere gli elementi di una natura matrigna, ostile e benigna al contempo, che sprizza vento caldo e freddo, muove le acque, le emozioni e innesca tempeste in coacervo di sentimenti molteplici che passano attraverso canzoni come l’iniziale «Kalì», che spazza via i confini spazio-temporali ed il concetto di cittadinanza musicale proponendo un vagare arabescato dai contrafforti mediterranei. La voce roca e sofferente di Enzo Gragnaniello, in «Sente e tace», porta sul tetto del mondo quel senso di multi-etnicità sonora aggregata alla lunga tradizione popolare partenopea.

«Oikos» è quai una danza tribale elettrificata che si disperde nei colori una Grecia fatta di miti fino a giungere le punte estreme dell’impero ottomano della musica. «Earth (Preludio)» è un attimo sospeso tra l’Oriente e l’eternità, come il vento del deserto che conduce alla title-track, una danza nel ventre della grande madre musica, tra Africa e Mediterraneo. «Al Confine» apre la porta d’Oriente in una mille e una notte malinconica e onirica. «Quanno è sera» ha il sapore di una favola autoctona raccontata intorno al fuoco in una notte d’inverno. «M’ha criete Dije» di Graziano Galatone, fornisce un aspetto della molteplicità dei dialetti italiani, ossia tante lingue capaci di esprimere variegati sentimenti, insiti nel ritmo, nei fonemi e nell’onomatopeica delle parole stesse. «Cielo di burro» è poesia che si scioglie nelle maglie di una liricità sopraffina esaltata dalla voce di Valeria Villeggia: «un’ombra bianca di nuvole, l’odore bruno dei venti che è già scivolato via». «Riturnari a jucari» ha i tratti somatici di un suono scarno e vagamente pop che gioca con un ritmo apolide senza limiti e confini. «Ombra e luce» suggella l’album con concentrato di gioia e drammaticità, stritolato in un anagramma di sentimenti, desideri, aspirazioni e sonorità che sembrano la summa dell’intero concept. «Due Mondi» degli Indaco è un unicum musicale e letterario di rara umanità, che avvicina uomini e culture senza discriminanti sonore o tentativi di dilazione fatti di trasgressioni o fughe impossibili. La bellezza è tutta qui a portata di mano, hic et nunc, basta saperla cogliere.

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