// di Francesco Cataldo Verrina //

Nell’ambito del jazz contemporaneo, la formula del piano trio è alquanto usata e abusata, tanto da caratterizzarsi spesso come una sorta di enclave privilegiata o una regola d’ingaggio a sé stante rispetto a quanto accade nell’universo jazzistico riferimento, e i fattori sono molteplici: in primo luogo esistono dei modelli di riferimento ben precisi certificati dalla storia, si tenga presente che il pianismo, latu sensu, nel jazz è cosa ben diversa dal trio-pianismo, il quale laddove ha allignato con profitto, esprimendo fenomenologie paradigmatiche che hanno trasformato l’humus del jazz, germinava dalla confluenza di tre elementi sinergici e perfettamente mutualistici. Non secondario il fatto che il piano-trio essendo diventato dominante, per quantità più che per qualità, ha finito per trasformarsi sovente in una formula logora, a volte un ricalco dei modelli preesistenti, ripetitiva e fine a sé stessa, quando non diventa una stucchevole attività tributaria nei confronti di questo o di quel personaggio che ha fatto la storia del piano jazz.

Fortunatamente, esistono delle eccezioni e l’album «Tiny Toys» di Albero Forino, che uscirà ufficialmente il 17 febbraio per GleAM Records, è una di queste. Ad onor del vero, più che l’eccezione ad una regola è una rimodulazione di talune regole ritmico-armoniche insite nel piano-trio, ma che potrebbero essere applicate ad una qualunque struttura jazz tout-court; soprattutto siamo di fronte alla reinvenzione del metodo costruttivo, attraverso un impianto sonoro studiato ad hoc e propedeutico ad uno specifico progetto compositivo ed esecutivo. Le parole di Alberto Forino sono alquanto eloquenti: «A guidare il componimento di questi brani è stata la ricerca di una strada che consentisse alla musica di realizzarsi giocando con regole e libertà, a salvaguardia di quest’ultima. Balocchi musicali da elementi semplici come mattoncini con i quali costruire mosaici, castelli e caleidoscopi; poche e semplici regole a delineare campi di possibilità sonore nei quali lasciar correre le idee. Intervalli, insiemi di note, scale, melodie, ritmi, armonie e timbri diventano giocattoli, indicazioni e terreno di gioco. Ogni gioco, come ogni musica, esiste realmente soltanto nel tempo e nel momento in cui si avvera. Giocare e suonare sono modi buoni per organizzare e trascorrere del tempo in compagnia e da soli. Una buona via per sperimentare, ricercare, esplorare e crescere fuori e dentro il mondo dei suoni. Giocare, suonare, improvvisare e comporre musica (non necessariamente in questo ordine) sono sempre state per me una fonte inesauribile di gioia. Questo disco è un’istantanea del percorso dentro quella gioia, mi auguro che possa far divertire e vivere un tempo buono a chi lo ascolterà». Nella quasi «fiabesca» narrazione di Forino c’è innanzitutto lo spirito monkiano dell’atto creativo, quindi catartico e liberatorio, prima che libertario ed improvvisativo, che spinge verso una sorta d’istinto creativo fanciullesco, quindi privo di condizionamenti e sovrastrutture.

Nell’ambito del jazz contemporaneo, la formula del piano trio è alquanto usata e abusata, tanto da caratterizzarsi spesso come una sorta di enclave privilegiata o una regola d’ingaggio a sé stante rispetto a quanto accade nell’universo jazzistico riferimento, e i fattori sono molteplici: in primo luogo esistono dei modelli di riferimento ben precisi certificati dalla storia, si tenga presente che il pianismo, latu sensu, nel jazz è cosa ben diversa dal trio-pianismo, il quale laddove ha allignato con profitto, esprimendo fenomenologie paradigmatiche che hanno trasformato l’humus del jazz, germinava dalla confluenza di tre elementi sinergici e perfettamente mutualistici. Non secondario il fatto che il piano-trio essendo diventato dominante, per quantità più che per qualità, ha finito per trasformarsi sovente in una formula logora, a volte un ricalco dei modelli preesistenti, ripetitiva e fine a sé stessa, quando non diventa una stucchevole attività tributaria nei confronti di questo o di quel personaggio che ha fatto la storia del piano jazz.

Fortunatamente, esistono delle eccezioni e l’album «Tiny Toys» di Albero Forino, che uscirà ufficialmente il 17 febbraio per GleAM Records, è una di queste. Ad onor del vero, più che l’eccezione ad una regola è una rimodulazione di talune regole ritmico-armoniche insite nel piano-trio, ma che potrebbero essere applicate ad una qualunque struttura jazz tout-court; soprattutto siamo di fronte alla reinvenzione del metodo costruttivo, attraverso un impianto sonoro studiato ad hoc e propedeutico ad uno specifico progetto compositivo ed esecutivo. Le parole di Alberto Forino sono alquanto eloquenti: «A guidare il componimento di questi brani è stata la ricerca di una strada che consentisse alla musica di realizzarsi giocando con regole e libertà, a salvaguardia di quest’ultima. Balocchi musicali da elementi semplici come mattoncini con i quali costruire mosaici, castelli e caleidoscopi; poche e semplici regole a delineare campi di possibilità sonore nei quali lasciar correre le idee. Intervalli, insiemi di note, scale, melodie, ritmi, armonie e timbri diventano giocattoli, indicazioni e terreno di gioco. Ogni gioco, come ogni musica, esiste realmente soltanto nel tempo e nel momento in cui si avvera. Giocare e suonare sono modi buoni per organizzare e trascorrere del tempo in compagnia e da soli. Una buona via per sperimentare, ricercare, esplorare e crescere fuori e dentro il mondo dei suoni. Giocare, suonare, improvvisare e comporre musica (non necessariamente in questo ordine) sono sempre state per me una fonte inesauribile di gioia. Questo disco è un’istantanea del percorso dentro quella gioia, mi auguro che possa far divertire e vivere un tempo buono a chi lo ascolterà». Nella quasi «fiabesca» narrazione di Forino c’è innanzitutto lo spirito monkiano dell’atto creativo, quindi catartico e liberatorio, prima che libertario ed improvvisativo, che spinge verso una sorta d’istinto creativo fanciullesco, quindi privo di condizionamenti e sovrastrutture.

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