// di Francesco Cataldo Verrina //

PASQUALE INNARELLA QUARTET – «MIGRANTES», 2017

Pasquale Innarella è uno dei migliori sassofonisti europei: le sue radici «meridionali» sono il motore mobile del suo jazz militante, intriso di risvolti politici e culturali, suonato sia per strada e nei centri sociali che nei teatri. «Migrantes» è un album uscito nel giugno del 2017 per Alfa Music ma ancora di pregante attualità, un concept di forte impatto musicale e sociale, legato ad un tema sempre scottante, soprattutto per l’Italia che vive spesso il dramma e la contraddizione di essere divenuta il porto di attracco per antonomasia, almeno il primo approdo dei flussi migratori provenienti dall’Africa subsahariana, dal Nordafrica, dal Medio Oriente.

«Migrantes» si sostanzia come un’opera ricca di suggestioni, tensione strumentale e pathos, ma scevra da qualunque rassegnato pietismo o buonismo da salotto televisivo; per contro offre una profonda riflessione sull’argomento attraverso impulsi sonori che sembrano descrivere disagio, rabbia e struggimento, quasi a voler rammentare che siamo tutti coinvolti nelle storie di emigrazione in prima persona: l’Italia, specie il Meridione, è stata sempre terra di migrazioni, di viaggi forzati e di ineluttabili abbandoni. Il sassofonista irpino elabora un ottimo costrutto sonoro, accompagnato dal vibrafonista Francesco Lo Cascio, dal contrabbassista Pino Sallusti e dal batterista Roberto Altamura. Queste le convincenti parole di Innarella: «Pensate che «Arteteke» l’ho composta pensando ad uno dei tanti viaggi in treno verso Torino quando ero piccolo, partivamo per andare dai parenti che lavoravano in Fiat, i vagoni erano affollati, pieni di ragazzini che giocavano, correvano. Tieni l’arteteke dicevano i genitori, sarebbe come l’argento vivo, quella forza tipica dei bambini che non si arresta neanche in un piccolo spazio. «Indaco» invece è il colore di Michele, il mio paesano che era andato in America, quando è tornato gli ho chiesto com’era l’America, mi ha risposto che aveva il cielo indaco e me lo ripeteva contento, per me era un colore strano, lui ne parlava benissimo, nonostante la mancanza degli affetti. Nulla è più mio di questo disco, in prima elementare a Lacedonia eravamo tanti, addirittura si facevano i doppi turni per andare a scuola, parliamo di 5 classi con trenta bambini. Poi in prima media erano partiti tutti, a stento si è formata una classe. Mi sono sentito davvero molto solo».

Non manca neppure un pensiero per scomparso Pino Sallusti, contrabbassista e compagno di tante avventure musicali, che nell’album non fa mancare mai il suo walking a volte ossessivo e tribale, altre sanguigno ed energico: «Pino ci ha lasciati, ma è riuscito a vedere la pubblicazione del disco, lo ha ascoltato con noi. Era una colonna portante del quartetto, il brano «Night in Town» che chiude il disco lo ha composto lui, un blues spiazzante che rende bene lo spaesamento di chi si trova in una città straniera». In effetti, Innarella firma sei delle otto tracce proposte nel set. «Night In Town» (come già detto) è firmata da Sallusti, mentre l’unico non originale è «Yekermo Sew» di Mulatu Astatke, un brano che trascina con sé i colori dell’Africa e la voglia di riscatto di un popolo intero.

Musicalmente il disco è imperniato su una costante tensione drammatica, dove Innarella si scatena spesso, emettendo assoli strazianti e ricchi di sovracuti , mentre il sax diventa quasi il megafono che amplifica le urla di un popolo in subbuglio. Il sound complessivo guarda in molte direzioni, è spigoloso trasversale, ma la melodia non perde mai la quadratura del cerchio: echi di Ornette Coleman, John Coltrane e Dewey Redman, aperture free-form alla Ayler, ma soprattutto l’impianto complessivo, basato su un post-bop espanso, è sistematicamente privo di manierismo o di calco calligrafico. A parte la title-track, che diventa una sorta di compendio sonoro a falde larghe, meritano una nomination speciale «Indico» e «Oriental Mood», anche se, ad onor del vero, il disco offre punti di ancoraggio e momenti fortemente attrattivi dalla prima all’ultima nota.

Le parole di Pasquale Innarella diventano, comunque, più eloquenti di qualsiasi analisi musicologica: «La bellezza del jazz sta tutta nelle contaminazioni, è nato mescolando la cultura occidentale e quella africana, continua ad evolversi e ad esistere perché è costruito su quello che siamo. Quando sento parlare di jazz puro rabbrividisco, è un’accezione che non contemplo, perché il jazz è commistione, continua scoperta. La mia è una musica che non scade, resiste. Forse non spetta a me fare il paragone, ma immagino che se oggi si continua ad ascoltare Mozart, fra quarant’anni – forse – si continuerà ad ascoltare il sassofono di Innarella, io ho scelto di andare alla radice di tutto e di creare un personale mondo sonoro. La musica è un linguaggio universale, è cultura globale, questa è la sua potenza infinita».

«Migrantes» di Pasquale Innarella conferma con forza i contrassegni salienti di un quartetto coeso e telepatico, dotato di una forte collegialità d’intenti, mai limitante per l’espressività dei singoli; un disco dal gusto contemporaneo che diventa una sorta di ponte fra la tradizione afro-americana e le suggestioni sonore, tattili e ideali provenienti dalla Grande Madre Africa e dal bacino del Mediterraneo, il tutto filtrato attraverso un fertile processo creativo, che sembra sviluppare un jazz libero ed itinerante com un flusso umano che si muove verso ogni dove. Le parole del sassofonista diventano decisamente chiarificatrici: «I popoli si sono sempre spostati, le persone si mettono in cammino per cercare di migliorare le condizioni di vita, ora come allora. Le migrazioni fanno parte della storia, per me comincia sempre tutto dalle persone, in questo caso da quelle che vanno in cerca di una possibilità in grado di restituire dignità alla loro esistenza. Ogni traccia del disco – senza testo, solo ascolto – ricorda un momento specifico ed ha senso di esistere perché legato alle tappe di questo viaggio, dall’idea, all’organizzazione, passando per la festa, il senso di solitudine, il nuovo inizio, le mancanze».

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