INTERVISTA A GUIDO MICHELONE

Guido Michelone, come nascono questi sei libri finora pubblicati che si presentano non solo in forma di collana ma quasi come una sorta di enciclopedia in progress della cultura jazzistica?

Nascono quasi per caso, nel senso che, a metà degli anni Dieci, l’allora direttore del settore musicale di Arcana a Roma, il musicologo Vincenzo Martorella, mi chiese se volessi ripubblicare il mio Bibbidi Bobbidi Bù (il volume sui rapporti tra musica e cartoons, scritto assieme al cartoonist Giuseppe Valenzise per l’editore Castelvecchi, ora di difficile reperimento) perché Arcana aveva appena acquisito Castelvecchi. Ma risposi che non era così urgente, semmai sarebbe stato opportuno ristampare Il jazz-film perché i diritti con il precedente editore erano ormai scaduti e per me c’era l’urgenza di aggiornare un libro molto fortunato’, citato e usato un po’ovunque, anche nelle università.

E così avvenne!

Certo, ma fu un’impresa faticosa, perché alla fine il libro aumentò del doppio rispetto all’edizione originale: quando lo scrissi, attorno al 1997, non c’erano Google o YouTube e i film erano di arduo reperimento. Vent’anni dopo la ricerca delle informazioni era ormai una pacchia e mi divertii molto (anche se con qualche affanno) a colmare le lacune e a ovviamente a parlare dell’attualità video-cinematografica dell’ultimo ventennio. Si tratta comunque di un testo, Il jazz-film, che meriterebbe nuove edizioni e nuovi aggiornamenti ogni vent’anni o persino di essere scisso in tre parti: la fiction, i documentari e anche le colonne sonore (a cui però non ho ancora lavorato). Sono contento, poi, che de Il jazz-film sia uscita anche un’edizione pocket, diciamo economica…

E da allora, per lei, è iniziata una nuova avventura…

Il secondo volume, per così dire, Il jazz e le arti, venne pubblicato nel maggio 2019, mentre Il Jazz-film risale al gennaio 2016: nel mezzo avvenne un cambio nella direzione editoriale, arrivò Gianluca Testani, con il quale mi trovai subito in perfetta sintonia. Fui ad esempio entusiasta dei quadri e dei disegni del compianto pittore monzese Giancarlo Cazzaniga, del quale abbiano finora utilizzate cinque immagini per altrettante copertine. E Gianluca poi ha sempre accettato molto volentieri tutte le proposte di libri a tema che ho finora pubblicato.

Partiamo quindi da Il jazz e le arti: in cosa consiste?

Devo fare una premessa: questi nuovi cinque libri constano all’80% di materiale preesistente, ossia i capitoli di fatto sono la rielaborazione di saggi e articoli, pubblicati in precedenza da quotidiani, mensili, riviste. Dato l’impregno che da sempre ci metto nello scrivere per i periodici, mi sembrava uno spreco che questi miei interventi durassero lo spazio di un mattino o di un mesetto. Il libro invece si scrive per l’eternità, almeno così la penso io. Ovvero il libro è qualcosa che dovrebbe rimanere a lungo come punto di riferimento: di solito avviene con i classici, ma il discorso anche per la saggistica. Ad esempio certe storie del jazz – non faccio nomi – sono ancor oggi ristampate, segno che valgono ancora!

Perché iniziare proprio con le arti nel jazz?

Io amo molto gli incroci fra le diverse estetiche e le molteplici discipline espressive, ne Il jazz e le arti ho voluto parlare dei rapporti tra il jazz e via via la pittura, la fotografia, il fumetto, la televisione, il cinema, il teatro, eccetera, spesso da angolazioni specifiche; sotto quest’ultimo punto di vista ho voluto mantenere anche la singolarità degli interventi originali; e questo perché non credo al concetto di testo completo, esauriente, definitivo, che nel jazz – arte in perenne espansione o continua metamorfosi – non si potrà mai raggiungere, preferisco il non-finito michelangiolesco, insomma amo fornire degli spunti che magari il lettore vorrà approfondire con altri mezzi e, perché no, con altre letture (magari in altre lingue, visto che io di solito mi occupo di temi pochissimo dibattuti in Italia).

Proseguiamo con gli altri volumi?

Sì, Il jazz e le idee (febbraio 2020) e Il jazz e le cose (dicembre 2020) sono in fondo speculari, avrei potuto farne un unico libro, ma sarebbe stato un tomo grossissimo. In entrambi discuto argomenti legati alla storia, alla politica, all’antropologia, all’estetica, alla religione, alla vita quotidiana, al tempo libero, perché il jazz si presta a mescolarsi a differenti problematiche. Io non sono un musicologo classico strictu senso, preferisco definirmi uno storico in generale come pure un semiologo delle culture contemporanee e quindi non mi è difficile raccontare ad esempio le relazioni tra il jazz e il fascismo, il jazz e il Natale, il jazz e le guerra, il jazz e la fotogenia, eccetera, eccetera. Chi si occupa di jazz ad esempio deve sapere chi è Picasso o quando si colloca la prima guerra mondiale o a quali fedi appartengano gli afroamericani, e via dicendo.

Il jazz e gli animi (luglio 2021) in tal senso è fra tutti il volume più ‘classico’, più vicino o incline alla tradizionale letteratura jazzistica?

In parte sì, perché ciò che io ho chiamato ‘animi’ non sono altro che stili, tendenze, movimenti, linguaggi nella storia del jazz che anziché essere narrati in senso cronologico, da me ottengono uno svolgimento tematico, disposto poi in ordine alfabetico. Ho preferito la parola ‘animo’ perché dà meglio l’idea della visceralità di questa musica, così legata al corpo, al gesto, al momento, alla performance. E l’animo non è solo quello bebop, blues o free, è legato ai singoli strumenti o ad alcune etnie…

E a proposito di etnie, l’ultimo in ordine di tempo, Il jazz e i mondi (febbraio 2022), riguarda uno sguardo oltre gli Stati Uniti per scoprire dove si annoda questa musica in tutti gli altri Continenti.

Tutti meno l’Europa, di cui uscirà presto un volume specifico, perché il nostro ‘Vecchio Continente’ è ricchissimo di proposte interessanti, avendo una storia autoctono del jazz stesso talvolta lunga cent’anni. Ma tornando a Il jazz e i mondi, devo dire che ho scritto molte parti ex novo, spinto dalla curiosità di indagare cosa accade in Centro e Sud America, in Asia, in Africa, in Oceania, facendo scoperte interessantissime. Ma non svelo nulla per invogliare i lettori a comprarlo…

Il prossimo volume sarà quindi dedicato all’Europa?

Sì, l’ho già scritto, aggiungendo all’ultimo momento un capitolo sull’Ucraina, vista la situazione insostenibile, quasi come un segnale di incoraggiamento a una nazione invasa. Avrei voluto togliere, per protesta, il capitolo sulla Russia, ma non l’ho fatto perché la storia del jazz russo è a sua volta una sequela di proteste contro regimi ottusi come lo stalinismo. E comunque vorrei concludere dicendo che ha perfettamente ragione, ha individuato il quid di questo mio lavoro, che è appunto una sorta di enciclopedia in progress della cultura jazzistica.

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