// di Francesco Cataldo Verrina //

Il corno francese applicato al jazz offre mille suggestioni, il suono di questo strumento, maliardo ed evocativo, non è frutto dell’opera umana, ma è la natura stessa ad averlo creato. In ogni antica cultura ci sono chiari riferimenti al corno: dai riti religiosi a quelli magici, dalle arti orientali fino al simbolismo occidentale. «Julius Rides Again» dei French Horn Jazz Project è un lavoro ammaliante e seducente che attraversa la storia del jazz ammantandola di ancestrali vibrazioni. Dice Giovanni Hoffer uno dei due artefici e co-leader del progetto: «Il corno è forse lo strumento più antico ed il mio intento è portarlo verso la contemporaneità, solo per il piacere di aver versato poche gocce nell’oceano della sua storia». Storia che Hoffer condivide con Pau Moltò.

Giovanni Hoffer è considerato uno dei migliori e più innovativi cornisti del panorama internazionale. Nel corso della sua carriera classica è stato membro stabile dell’orchestra del Teatro alla Scala di Milano. Parallelamente ha realizzato l’ambizioso progetto di sviluppare un linguaggio jazz e adattivo al corno, operando sia come band-leader che come solista in in grossi ensemble orchestrali, ma soprattutto collaborando con artisti del calibro di Wayne Shorter, Kenny Wheeler, John Patitucci e Paolo Fresu. Dal canto suo Moltò, nato a Valencia nel 1978, dopo la laurea al Conservatorio Superiore di Musica Joaquín Rodrigo, si è dedicato allo studio e alle possibilità offerte dal french horn in ambito jazzistico, condividendo il palco con rinomati interpreti quali Wayne Shorter, John Patitucci, Brian Blade, Danilo Pérez, Jay Anderson, Steve Wilson, Lewis Nash, Gil Goldstein, Perico Sambeat, David Pastor, e Albert Sanz, mentre dal 2017 fa parte dell’Umbria Jazz Orchestra.

Il titolo dell’album, «Julius Rides Again», è alquanto intrigante, poiché rimanda a Julius Watkins considerato il padre del corno francese nel jazz e qui celebrato in occasione del suo centenario. Dopo una prima esperienza come trombettista con l’orchestra di Ernie Fields (1943-1946), alla fine degli anni ’40, Watkins si dedicò al corno francese, strumento che aveva studiato sin dall’infanzia, partecipando ai dischi di Kenny Clarke e Babs Gonzales, mentre nel 1949 divenne membro effettivo della big band di Milt Buckner. In seguito farà parte di piccoli gruppi tra cui un paio sessioni guidate da Thelonious Monk nel 1953 e nel 1954; ha poi co-diretto Les Jazz Modes con Charlie Rouse (1956-1959), mentre dal 1959 al 1961 entro a far parte della big band di Quincy Jones . Tra i suoi lavori di studio più importanti si ricordano le collaborazioni con Miles Davis e Gil Evans nelle loro opere orchestrali, con John Coltrane in Africa/Brass e Charles Mingus con cui ha registrato nel 1965 e nel 1971,

Realizzato in due sessioni, il 20 ed il 21 luglio del 2020, al Jazztone Studio di Valencia con la produzione congiunta della Notani Jazz e della Sedajazz Records, in «Julius Rides Again» Giovanni Hoffer e Pau Moltò al corno francese hanno avuto il sostegno di un line-up di notevole caratura con David Pastor e Massimo Morganti alla tromba, Kontixi Lorente al piano, Jordi Gaspar Caro al contrabbasso e Ramòn Àngel Rey alla batteria, i quali hanno saputo cogliere l’invito dei due leaders ad amalgamarsi alla voce pastosa del corno, senza lederne o limitarne le inconsuete sonorità, ma riuscendo ad esaltarle attraverso un affiatato gioco di squadra.

«Julius Rides Again» si snoda attraverso nove tracce, di cui due originali scritti dai cornisti leader, tre classiche composizioni di Julius Watkins e quattro standard magnificamente arrangiati da Massimo Morganti. Si va dall’atmosfera retrò, a tratti cinematografica, dell’iniziale «Sparkling Burgundy», a firma Watkins, seguita dalla swingante «Oscar Rides Again» di Oscar Pettiford, che offre anche lo spunto per il titolo del disco. «Linda Delia» di George Butcher è una ballata flessuosa, imbastita su un tempo medio che avanza come un tango magnificato dall’arcano richiamo dei corni ed illanguidito dal lascivo suono delle trombe. «Bohemia» di Julius Watkins e Charlie Rouse precipita l’ascoltatore un’intrigante atmosfera da music hall: è come ascoltare un vecchio 78 giri con sonorità moderne e digitali. «B And B» di Bennie Harris scivola ancora sul piano inclinato del swing preparando il terreno a «Sleeping Cats», scritta da Pau Moltò, che sorniona e felpata sviluppa un’ambientazione languida e crepuscolare, avvolta nel tepore del suono dei corni. «Jordu» di Duke Jordan è uno dei momenti clou dell’album, riproposta in una versione bop senza asperità; ottimo il raccordo pianistico fra i due corni in onore all’autore del brano. «Leete» del celebrato Julius è una scorrevole ballata mid-range avvolta in aura fiabesca dai corni, che dilatano i tempi in risposta alle trombe foriere di un fraseggio più contenuto e minimale. «Two Brothers», dai tratti soulful, è un componimento di Giovanni Hoffer, che suggella l’album con tutti i sodali in passerella e con una melodia che s’impianta facilmente nelle meningi del fruitore per non andare più via.

Con «Julius Rides Again», attraverso un’accurata ricerca sonora ed una forma esecutiva assai flessibile ed adattabile ai più consueti strumenti, Pau Moltò e Giovanni Hoffer sono riusciti a creare una piattaforma espressiva moderna ed efficace, regalando al corno francese un posto di sicuro rilievo nell’ambito del jazz contemporaneo.

ASCOLTA SU SPOTIFY:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *